Era cugino di mia nonna e io ho passato una buona parte della mia infanzia con lui e le sue sorelle (nella foto sono le ragazze sorridenti ai suoi lati), ci veniva a prendere a scuola a me e mio fratello quando non poteva mio nonno, di cui era grande amico. Pranzavamo da lui, giocando poi nella sua campagnetta che saccheggiavamo delle carote per darle da mangiare di nascosto ai suoi conigli.
Questa fotografia immortala l’Ucio che ho conosciuto io, in pensione ma sempre in terlis, la tenuta da lavoro – da vero working class hero. Posso confermare che le caramelle al miele a centro tavola sono sempre state lì, fin da quando era bambino, quando scorazzavo in quella accogliente casa secolare che l’ha visto nascere e che ora divideva con Marcella, sua moglie .
Sui tuoi ricordi giovanili (gentilmente tradotti da Maja Pečar) mi accomiatto da te, immaginandoti prendere il largo come fece il tuo Ursus quattro anni fa. Addio caro, carissimo Učo, con te finisce un’epoca.
Učo, che issò il ritratto di Tito su Piazza Grande
La fotografia a lato (in alto, nda), che più di un anno fa scegliemmo come simbolo per la campagna Ricordi del Maggio 1945, è comparsa inaspettatamente anche durante quest’intervista primaverile a Rovte. Era appesa alle pareti della casa di Pietro Cerkvenič, conosciuto a tutti con il nome di Učo, ed era riprodotta anche su un volantino rosso e su un poster del Coro partigiano triestino Pinko Tomažič che Učo custodisce gelosamente.
Učo, che oggi ha 89 anni, il 3 maggio 1945 si trovava in Piazza Grande in compagnia di altri giovani triestini e dei partigiani. Il gruppo di ragazze e di ragazzi fu immortalato dall’obiettivo di Mario Maganja (secondo altre fonti dal fotoreporter Edi Šelhaus), regalandoci una delle più belle fotografie della Trieste appena liberata. Il ragazzo in primo piano che sorregge la lunga asta di legno con il ritratto del maresciallo Tito è proprio Učo all’età di 23 anni.
“La foto mi fu regalata dal mio amico Mirko, accanto a me c’è mia sorella Tina, e poi anche Orelia e Giuditta-Dita, il partigiano a cavallo in quei giorni dormiva a casa nostra, a Rovte” ci ha raccontato Učo guardando la foto durante l’intervista nella stessa casa in cui è nato quasi 90 anni fa e nella quale ancora vive con l’amata moglie. “Perchè non siete venuti trent’anni fa? Ora sono vecchio, ormai ho dimenticato tutto” si è lamentato.
Ma per fortuna in realtà ricorda ancora molto. Učo è convinto di essere sopravvissuto alla guerra grazie al suo lavoro di vigile del fuoco nell’Arsenale, che per un periodo svolse anche a Pola. Poi per quasi quarant’anni ha lavorato nel Cantiere San Marco, e a maggio 1945 si trovava a casa a Rovte. “L’ultimo giorno di aprile guardavamo i partigiani saltare su e giù per Montebello. Da lontano sembravano delle capre…” I partigiani costrinsero alla fuga anche i soldati tedeschi che facevano la guardia ai carri armati dietro la vicina scuola di Cattinara. Lui stesso disarmò un soldato assieme ad alcuni coetanei. “Soldato… noi gli abbiamo tolto le armi e lui volevi darci anche la merenda. Sembrava un ragazzino di 15 anni…”
“Ricordo che abbiamo issato la bandiera, e poi i partigiani che dormivano nelle nostre case. Le mie sorelle e cugine lavarono loro i vestiti, che erano pieni di pidocchi… mentre aspettavano che si asciugassero rimanevano nudi sotto il capotto. Già durante la guerra cucivano pantaloni e titovke con la stoffa dei capotti.”
Quel 3 maggio i giovani di Rovte e Kolokovec si diressero a piedi verso Piazza Grande in compagnia di questi partigiani. “In Corso alcuni ci lanciavano fiori, altri invece vasi da notte”, aggiunge ai ricordi di Učo il cugino Diulio: una parte di Trieste gioiva dell’arrivo dei partigiani e un’altra lo rifiutava. “Ma in piazza c’era un’atmosfera davvero allegra!”
Učo ricorda di esere andato in Prefettura a sventolare le bandiere, mentre Duilio da un grande balcone spargeva vari volantini sulla piazza sottostante; pare che i volantini provenissero da Log o da Ricmanje. “Anche gli americani passarano vicino alla piazza. Uno di loro ci buttò un grosso pezzo di pane che colpì in testa un ragazzo. Non so per quanti giorni ebbe un occhio nero!”
In quei giorni Učo entrò per la prima volta in Risiera e nella vicina fabbrica di lampadine. Alcune persone del paese ci erano già state, per portare via le armi abbandonate dai tedeschi. “C’erano biancheria, scarpe, capelli, sangue dappertutto.”
Učo dice che durante la guerra non si parlava della Risiera, anche se spesso emanava cattivo odore. La puzza la ricorda anche Duilio, che frequentava la scuola di Sant’Anna. Quella scuola Marica Gregorič Stepančič che molti decenni dopo, a guerra finita, sarebbe bruciata. “Quando la puzza era troppo forte, il maestro Sancin ci diceva di chiudere le finestre. Era un buon maestro, solo dopo abbiamo saputo che era di origini slovene. A Rovte durante la guerra c’era anche una scuola clandestina. Nell’osteria di Bako Stanko Skrinjar e Laura Abrami ci tenevano lezione di nascosto.”