Foibologia: il manuale di Federico Tenca Montini

Preferisco chiamarlo così, il titolo vero – Fenomenologia di un martirologio mediatico (Kappa Vu, Udine, febbraio 2014)- non mi entusiasma: buono per l’iniziale scopo di titolare una tesi (con una prima stesura di questo testo l’autore Federico Tenca Montini si è laureato in sociologia alla Bicocca) ma poco efficace nel presentare al pubblico la portata di questa originale opera di analisi.

Dicesi “foibologia“, nel mio personale gergo, non tanto lo studio morfologico di dette cavità carsiche né tantomeno degli episodi storici di occultamento di cadaveri tramite la loro precipitazione nelle stesse, quanto dell’ideario su di esse fondato. Le Foibe sono infatti luogo simbolico di occultamento ma anche di riesumazione, da esse si estrae ciò che torna utile, come fossero il cilindro di un mago, ma i conigli che ne escono sono sempre gli stessi: legittimazione e identità, che su questa frontiera orientale d’Italia si edificano sempre contro qualcuno o qualcosa. A frugare nelle foibe, sia fisicamente che ideologicamente, sono stati nel tempo formazioni militari anche contrapposte (dalla Wehrmacht al GMA, persino Badoglio e Bonomi nel ’44), compagini statali e amministrative tra le più svariate (dall’OZAK, al TLT, alla Repubblica italiana), istituti di Storia Patria e del Movimento di Liberazione, partiti politici tra i più disparati (MSI e derivati in testa, ma anche DC, Pd’A, PCTLT e, ultimamente, PD).  Nonostante l’eterogeneità degli “estrattori” però il discorso che ne viene fuori presenta sempre lo stesso pattern, aldilà delle ovvie differenze stilistiche tra invocazioni di genocidio e di piani predeterminati “titini”: l’impossibilità di trattare l’argomento se non da un punto di vista strettamente nazionale, quando non apertamente nazionalista.

Una tara che questo libro analizza da vicino, in parte avvalendosi di importanti studi già pubblicati in questa direzione (come La memoria dell’esilio dell’antropologa Pamela Ballinger o Il perturbante nella storia, le foibe a cura di Luisa Accati e Renate Cogoy), ma arricchito da un approccio multidisplicinare che accosta sociologia, semiotica delle arti visive, studio delle relazioni internazionali e approccio comparatistico, nonché dal personale wit dell’autore che si palesa in osservazioni mai banali e pure in un elegante humor sotto traccia, sferzante ma mai irrispettoso (si veda, ad esempio, la deliziosa espressione  “monumentalizzazione degli attriti postbellici nell ‘Alto Adriatico” per qualificare le caratteristiche semantiche di molti monumenti all’esodo e agli infoibati, cfr. p. 159).

Il libro è diviso in due parti, la prima è una disamina storica che “ruba” parecchio da Foibe. Una storia d’Italia di Jože Pirjevec (che ha scritto peraltro la prefazione). Ma la sintesi di Tenca Montini, oltre a fornire qualche puntuale aggiornamento sul dibattito storiografico, presenta comunque un valore aggiunto: la storiografia del confine orientale nella seconda guerra mondiale si è distinta in due filoni, uno più vintage e minoritario che tendeva ad evidenziare le responsabilità italiane tra ’20 e ’43 (anni ’70, l’era del Bollettino dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione) ed uno più recente e rumoroso – a cavallo tra anni ’90 e 2000 – che tendeva ad evidenziare invece quelle jugoslave tra ’43 e ’54. Ultimamente va affermandosi una terza sfumatura, “istituzionale”, che cerca semplicemente di sommare i due approcci agganciandosi al frame degli opposti nazionalismi / estremismi: siamo nell’era del “Ricordo, ovvero l’epoca successiva all’istituzione da parte dello stato italiano di una giornata ad hoc per la commemorazione delle iniquità del trattato di pace del ’47 (10 febbraio: giorno del Ricordo). Nella ricostruzione di Tenca Montini emerge proprio l’incongruità di due narrazioni che si vorrebbero assemblare insieme come un frankenstein ad uso e consumo della nazione, il cui risultato più grottesco è l’olocaustizzazione delle foibe. Le Foibe come le Fosse Ardeatine, meglio ancora un pastone unico: le Foibe Ardeatine, Norma Cossetto come Anna Frank e via martirizzando…

Le Foibe come completamento del Risorgimento

Questo è un concetto ispiratomi dalla lettura della seconda parte del libro, volutamente grottesco e forzato, ma che si basa su storiche forzature del tutto simili: di volta in volta il completamento del Risorgimento è stato invocato per giustificare la prima guerra mondiale, poi il fascismo, quindi addirittura per Gladio / Stay Behind. Il trait d’union è sempre l’antislavismo, dettaglio nascosto ma evidentissimo per chi abita in queste zone e che il prosciutto preferisce metterselo in bocca anziché sugli occhi, ma che ovviamente non può essere affermato in sede istituzionale. Le Foibe, attraverso il paradigma vittimario, sono la perfetta soluzione per rappresentarlo nel revival neopatriottico che la presidenza della Repubblica italiana ha rilanciato negli ultimi vent’anni. Il problema sorge dal fatto che la Slovenia e la Croazia prestano particolare attenzione alla politica italiana, attenzione non ricambiata per niente. La trattazione di questo aspetto costituisce a mio parere il vero quid della seconda parte di “Fenomenologia di un martirologio mediatico”.  L’autore ha infatti studiato e lavorato in Slovenia, Croazia e Montenegro, da cui il particolare polso nel trattare i problematici aspetti internazionali del Giorno del Ricordo, una celebrazione nazionale autoreferenziale che tuttavia, a differenza delle altre solennità patriottiche riesumate dalla presidenza Ciampi in poi, rispolvera il linguaggio dello scontro di civiltà e dell’etnicizzazione della guerra, temi cari alla destra neofascista italiana, maldestramente implementati nel  piano di rinascita della coscienza nazionale dai governi post-comunisti senza valutare la ricezione di tale narrazione sui paesi vicini.
Ma la specialità del libro, reclamata fin dal titolo, è l’analisi dei simboli visivi e narrativi delle rappresentazioni mediatiche del confine orientale messe in scena dalla televisione di stato, nonché delle commissioni politiche nel loro processo di produzione. Il caso principe è la fiction “Il cuore nel pozzo” andata in onda pochi giorni prima della celebrazione della prima giornata del Ricordo (febbraio 2005). Attraverso la sua analisi l’autore accompagna il lettore ad osservare da vicino la creazione ex-novo di un immaginario da inculcare in un pubblico del tutto ignaro delle vicende narrate, al punto da sconfinare nella falsificazione deliberata: i fotogrammi del film-tv fin da subito diventano nei media “documenti storici” che suppliscono alla carenza di immagini sull’argomento, anticipando una tendenza alla manipolazione e al falso dai risvolti sorprendenti (per approfondire, vedasi l’articolo di Piero Purini sui falsi fotografici delle foibe).

Come scrive Sandi Volk nella postfazione questo è un “libro che ci voleva“, ovvero un tipo di trattazione che mancava ad un tema che è stato a lungo sviscerato in tutte le salse ma che difettava di una disamina della sua rappresentazione mediatica, delle sue premesse e conseguenze socio-politiche nonché delle sue ricadute diplomatiche internazionali. Il risultato finale che il libro mette a segno è quello di uno sguardo insolitamente laico sul tema, traendo vantaggio dal distacco e dalla sospensione del giudizio propri delle scienze sociali, una vera boccata d’aria fresca in un ambito dove anche la storiografia accademica locale fatica ad uscire dai mandati istituzionali.

Federico Tenca Montini ha ulteriormente perfezionato questo approccio nell’articolo Confini stridenti: nazionalismo antislavo e giorno del Ricordo, uscito sul n° 36 della rivista Zapruder/Storie in movimento intitolato “Di chi è la storia? Narrazioni pubbliche del passato” che verrà presentato il prossimo martedì 24 novembre a Monfalcone.