#MEJA – Guerre di confine (#ConfineOrientale revisited)

Ne avevo sentito parlare perchè ero capitato al festival èStoria a Gorizia nell’anno in cui lo mostrarono, però ero arrivato troppo tardi e poi me ne dimenticai.
Sto parlando di “MEJA – Guerre di confine“, documentario di Giuseppe Giannotti, prodotto in collaborazione con il Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale “Leopoldo Gasparini” di Gradisca d’Isonzo, con la Fondazione Sklad Dorče Sardoč Onlus e con Rai Educational. Ho finalmente potuto vederlo  grazie alla segnalazione contenuta in questo felice commento su Giap.
Il documentario è del 2011, secondo Rai Storia è inedito in Italia e non stento a crederci, dato che sulla televisione italiana regna una specie di Echelon dell’Esercito Italiano per cui ogni volta che si nomina Rab e i crimini di guerra italiani scattano misteriosi veti (vedi vicenda del documentario BBC “Fascist Legacy” [1989]). Dall’elenco degli intervistati si capisce subito il motivo dell’ostracismo verso questo prodotto, che comunque fa bella mostra di sé su un sito della Rai con questo soffietto:
4 episodi per comprendere la storia del confine orientale d’Italia e sfatare il mito dello “italiano? brava gente!

Ecco i 4 episodi:

Parte 1° Dall’impresa di Fiume al ventennio fascista
Intervistati: Giacomo Scotti, Dario Mattiussi, Marta Verginella, Boris Pahor, Ferruccio Tassin, Franc Bandel, Silvano Bacicchi

 

Parte 2° Invasione della Jugoslavia e prima repressione antipartigiana slovena da parte italiana
Intervistati: Gianni Oliva, Damijan Gustin, Anton Vratusa, Boris Gombac

Parte 3° L’incendio del villaggio Stari Kot e il Campo di Rab
Intervistati: Marje Poje e Herman Janez (due ex-deportati), Dario Matiussi

Parte 4° I campi di concentramento di Gonars e Visco, l’8 settembre, l’OZAK e la Risiera di S. Sabba, le foibe, Borovnica, il dopoguerra, l’esodo l’apertura del confine nel 2007
Intervistati:  Alessandra Kersevan, Ferruccio Tassin, Giacomo Scotti, Gianni Oliva, Franco Miccoli, Boris Pahor

Le uniche note stonate del documentario sono attribuibili agli interventi di Gianni Oliva, che credo sia stato interpellato solo per mettere un nome della “vulgata classica” tra gli intervistati. Nel 2° episodio si affretta a rimarcare la differenza tra l’approccio tedesco e quello italiano, sostenendo che dietro i primi ci fosse una ideologia della violenza come controllo del territorio, mentre negli italiani tale ideologia sarebbe stata assente e la violenza avrebbe avuto unicamente una ragione difensiva. Un distinguo abbastanza fuori luogo il cui impatto nel documentario è comunque annullato dalla lettura dei dispacci e delle circolari dei generali Roatta, Robotti e Gambara con le loro ormai note frasi tutt’altro che difensive (Qui si ammazza troppo poco,Testa per dente, etc.). Come rimarca Dario Mattiussi nel 3° episodio su Rab – su argomento analogo:  è vero che i campi di concentramento fascisti erano nati con intenti diversi rispetto a quelli nazisti ma se il risultato effettivo è stato lo stesso se non peggiore allora è un distinguo che non ha molto senso fare.
Nel 4° episodio Oliva sottolinea come nelle epurazioni fossero stati eliminati molti esponenti del C.L.N. italiano guardandosi bene dal dire come molti di questi comitati in zona fossero nati praticamente a guerra finita in funzione meramente anticomunista, il che ovviamente non giustificherebbe le eliminazioni fisiche ma almeno le contestualizzerebbe più onestamente.
Per il resto si nota che le foibe istriane vengono citate solo di sfuggita da Scotti (mostrando alcuni ritagli di giornale con articoli come quelli di Granbassi, facilmente assimilabili alla propaganda nazifascista) mentre il documentario si concentra sulle epurazioni del dopoguerra, scelta direi meritoria sia per l’entità di tale “rese dei conti” sia perchè contribuisce a spezzare il legame foibe – esodo, esodo che anche successivamente viene presentato a parte senza metterlo in diretta relazione alle epurazioni politiche, denotando un buon senso che raramente alberga nelle divulgazioni emotive di parte italiana che urlano alla pulizia etnica se non addirittura al genocidio.
Anche quando Franco Miccoli cita la cifra di 5.000 vittime italiane in Jugoslavia nel dopoguerra (che è una di quelle cifre “da contrattazione” di Raoul Pupo, come i suoi 300.000 esuli) si perita di dire che furono un piccola minoranza rispetto ai 70-80.000 epurati non italiani, cifra che non ho controllato ma la prospettiva mi sembra corretta.
C’è da dire anche che pur citando il campo di prigionia di Borovnica non si specifica chiaramente che quei 5.000 epurati di cui parla Miccoli  (perlopiù militari e prigionieri politici raramente civili) si ebbero spesso in prigionia a causa delle durissime condizioni di internamento (comuni peraltro a molti campi di internamento sovietici e alleati) e che solo una parte di essi morì di morte violenta a causa di fucilazioni (men che meno a causa di “infoibamenti“).
Nel complesso mi sembra che queste note stonate siano tollerabili anche perchè è giusto sentire cosa dicono certi storici ma soprattutto sarebbe pretendere veramente troppo da un documentario RAI temerario che infatti da quanto mi risulta è stato debitamente occultato, proprio come il libro Storia di un esodo (1980) o come il rapporto della commissione mista italo-slovena (2000) a testimonianza di una censura che travalica ampiamente l’epoca della guerra fredda.

2 pensieri su “#MEJA – Guerre di confine (#ConfineOrientale revisited)”

  1. Non sono d’accordo, Si cita l’assalto fascista al Narodni Dom di Trieste peraltro episodio deplorevole ma non si dice che esso fu provocato da colpi di pistola verso gli italiani che fecero un morto provenienti dall’interno dell’edificio. Tutto il filmato non fa altro che parlare dei crimini fascisti che ci furono e orrendi, ma dedica, solo una piccola parte residuale, a quelli commessi dagli slavo comunisti, insomma non mi pare equilibrato del resto noi italiani siamo degli autolesionisti. Nessuno ricordo del martirio di Norma Cossetto e delle decine di sacerdoti uccisi dai titini.

    1. Scusa il ritardo di tre mesi nella risposta, non ricevo molti commenti. Le bombe giù dal narodni dom furono lanciate dagli stessi assaltatori penetrati nell’edificio, fu un evento pianificato anche nei dettagli. Non si tratta di fatti noti da poco, già Carlo Schiffrer aveva ricostruito dettagliatamente l’episodio, e non si tratta di sicuro di una fonte filo-slovena.
      Per il resto: non mi sembra che MEJA non nomini gli eccessi nelle rese dei conti, anzi… decine di sacerdoti uccisi? Qualche nome? (oltre al noto beato Bonifacio scomparso in circostanze mai chiarite)

I commenti sono chiusi.