#Psicotoponomastica

Parlare di toponomastica di Istria e Dalmazia, in Italia, è sempre difficile. Anch’io nel racconto della mia cavalcata a due ruote dell’Istria ho dovuto fare i conti con questo nodo poiché, così come mi sono sempre rifiutato di chiamare la località carsolina di Pesek Pese, mi riesce per lo stesso motivo difficile chiamare l’istriana Portorose Portorož, ma col tempo ho imparato che il manicheismo – anche quello che vorrebbe mirare all’equanimità – non funziona in queste terre mai del tutto bianche o nere.

Che dire ad esempio di Premantura? È evidente che si tratta di una croatizzazione di Promontore, ma, appar censimento del 1910 (ultima voce di pagina 24 del pdf), è pure evidente che tale borgata era marcatamente croata fin da prima dei terremoti geopolitici di metà XX secolo e chiamarla oggi Promontore sarebbe alquanto anacronistico ( va anche detto che la popolazione autoctona in detta località è praticamente estinta data la sua recente conversione in villaggio turistico…).

Potrebbe sembrare una questione irrilevante e lo sarebbe se alle spalle non ci fosse un background storico e politico controverso che rende arduo pronunciarsi in modo neutro in merito. Se il problema di per sé è ridicolo la sua insorgenza è interessante come sintomo di un più profondo dispositivo psicologico.

Per un italiano chiamare Koper Capodistria è normale, così come è normale chiamare London Londra. Non necessariamente ciò ha implicazioni psicologiche e politiche per fortuna, ma per molti sì. Alcuni non dormono alla notte all’idea che un giorno il ricordo della passata italianità dell’Istria venga perduto, ma soprattutto non dormono all’idea che altri italiani possano non condividere tale assillo. Per quanto doloroso ciò possa essere per gli esuli questa eventualità rientra nel normale corso della storia. Nel mondo non si contano le città la cui composizione nazionale sia completamente cambiata nel corso del tempo a seguito di guerre e altri grossi sconvolgimenti. New York un tempo era colonia olandese e si chiamava Nuova Amsterdam, la città alsaziana di Kolmar un tempo era tedesca ma ora è la francese Colmar, Leopoli si chiamava Lwow ed era polacca mentre ora è l’ucraina L’viv. L’austriaca Ödenburg è diventata l’ungherese Sopron. Istanbul un tempo per alcuni si chiamava Costantinopoli e contava una nutrita comunità greca e potremmo continuare a lungo citando non solo città ma intere regioni come la Prussia Orientale, la Slesia, la Dobrugia, la terra dei Siculi, il monte Ararat, la Carelia, i Sudeti, la Kraijna, il Kosovo…

Si può notare che le ultime regioni citate sono state teatro e talvolta pretesti di guerre sanguinose. Un memento: il revanscismo è sempre in agguato in questi sentimenti nostalgici apparentemente innocui in nome dei quali si sono giustificati massacri e fanatismi. Se è salutare diffidare sempre delle nostalgie troppo ossessive, la spia dell’allarme rosso si accende quando ad esse si associa l’odio per chi è venuto dopo. Odio che raramente si esprime in modo palmare, in razzismo aperto, prediligendo piuttosto rappresentazioni più subdole, come la negazione dell’altro. Nella toponomastica nostalgica in Istria è implicita la  sistematica rimozione della presenza slovena o croata in loco  prima del 1945 da parte di un certo coté esule/irredentista, ben sintetizzata dalla dichiarazione rilasciata da Nino Benvenuti in occasione della prima celebrazione della giornata del ricordo: “Fino a nove anni non avevo mai sentito una persona che parlasse slavo“. Benvenuti è nato a Isola d’Istria nel 1938, evidentemente si è ben guardato dal porsi la sua dichiarazione in forma interrogativa: perché nessuno parlava “slavo” sotto il fascismo? (ma d’altronde Benvenuti è colui che prima lamenta il pregiudizio secondo cui tutti gli italiani d’Istria sarebbero stati giudicati fascisti [Rainews], accodandosi al tormentone a la page di Bernas-Cristicchi, e subito dopo rivendica orgogliosamente la sua militanza nell’MSI, l’unico partito che non ci ha mai traditi… solo per dire che l’analisi del testo e la coerenza dei concetti non sono il suo forte). Lo scopo ultimo di questa narrazione però è quella di farsi subliminale, di innestarsi nelle coscienze a monte delle appartenenze politiche e di qualsiasi giudizio critico in modo da apparire come naturale. La toponomastica “orientata” funziona proprio in questo senso, cablando le memorie dolorose degli esuli con le pretese imperialistiche italiane d’antan. La spia di questa operazione è l’inclusione della Dalmazia nelle categorie dell’esodo, per approfondire si rimanda a questo post su Giap, il blog del collettivo Wu Ming. Proprio da quell’inchiesta è emerso come il nuovo millennio, lungi dall’aver sopito queste strategie comprensibili forse in epoca di guerra fredda, ha offerto nuovi strumenti a questo tipo di propaganda, il migliore si chiama internet e soprattutto Wikipedia. A seguire uno storify sullo stesso tema che proposi in concomitanza con quell’articolo, da rilevare che proprio in occasione di quell’attenzione le cose su wikipedia sono un po’ cambiate, a testimonianza che il modo più efficace per correggere le deviazioni di quel progetto è quello della critica off-wiki. Per completare il quadro su Giap, dopo aver analizzato il come, recentemente è uscita anche un’analisi sui moventi di queste strategie comunicative.

P.S. (per visualizzare meglio cliccare sul logo “Storify” in alto a destra)