#Spazzali Oddity, dove va l’IRSML FVG?

Though I’m past one hundred thousand miles
I’m feeling very still
And I think my spaceship knows which way to go
Tell my wife I love her very much, she knows
Ground Control to Major Tom
Your circuit’s dead, there’s something wrong
Can you hear me, Major Tom?
Can you hear me, Major Tom?
Can you hear me, Major Tom?

Per capirci: in questa vignetta il Ground Control sarebbe l’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia (IRSML-FVG),  mentre Major Tom è il suo direttore Roberto Spazzali, in missione nelle profondità cosmiche di Bondeno (Ferrara).

Ebbene, lontano dalla sua capsula – il confine orientale  (a cui noialtri giuliani italofoni ci attacchiamo per trovarci un’identità e quindi una posizione nel mondo), si è lasciato andare a questo infelice confronto:

Nel mare di gente che oggi arriva nel nostro Paese c’è un numero cospicuo di giovanotti che, mi pare, accettino di andarsene dalla propria terra al primo ‘bau’. Mi chiedo il perché di questa inerzia. Perché non organizzare una difesa sul territorio da parte di soggetti autoctoni? Chi se ne va nelle condizioni di oggi che tipo di rapporto ha con la sua terra d’origine? Gli esuli istriani, fiumani e dalmati furono costretti ad andare via perché non erano stati messi nelle condizioni di difendere la loro terra, anche perché il Partito Comunista di allora, in Italia, guardava ai comunisti jugoslavi con riguardo. Ricordo che la storia d’Europa è una storia di orrori, ma in passato l’Europa ha saputo difendersi. E da questa difesa ne sono nati i grandi movimenti di Resistenza.

Da questo pastrocchio Il Giornale ci ha tratto questa mirabile sintesi:

Gli istriani difendevano la patria. I migranti invece sono codardi

Posso solo immaginare cos’è successo alla mascella della presidente dell’IRSML-FVG, Anna Maria Vinci, quando ha letto questo titolo…

Ne è seguita tutta una trafila di note di biasimo, difese, richieste di chiarificazione e scuse. Tutta la vicenda è sviscerata sul blog Giap. Il problema è che, lungi dall’essere un classico infortunio da Giorno del Ricordo (il quale, per come è stato confezionato, espone a figure di merda qualunque personalità istituzionale decida di occuparsene), sono dichiarazioni in parte coerenti con l’impostazione che Roberto Spazzali ha dato al suo ormai trentennale lavoro di ricerca. Impostazione che proprio all’appuntamento con l’attualità dimostra tutta la sua inadeguatezza e tossicità, facendo emergere al contempo le luci sinistre dell’ideologia nazionale del Ricordo di cui Spazzali non è che uno dei tanti sacerdoti.

A differenza di un Napolitano o di altre figure politiche o istituzionali italiane, Spazzali è persona informata dei fatti, anzi, proprio le sue responsabilità e attività in seno all’IRSML lo pongono a diretto contatto con lo stato dell’arte della ricerca sugli argomenti di cui ha blaterato a ruota libera nell’Oltrepò.

Chiariamo bene le coordinate del discorso:

  1. Quale Storia, di quale resistenza?

La Resistenza di cui gli istituti regionali della storia del movimento di liberazione si occupano è quella nata all’indomani dell’8 settembre 1943. Ma è davvero a quella Resistenza che Spazzali si riferisce nel suo intervento?

Perché non organizzare una difesa sul territorio da parte di soggetti autoctoni? (…) Gli esuli istriani, fiumani e dalmati furono costretti ad andare via perché non erano stati messi nelle condizioni di difendere la loro terra

Non è il movimento di liberazione antifascista del ’43 quello di cui Spazzali parla, ma quello “anti-jugoslavo” sorto in Istria e in quel che rimaneva della Venezia Giulia a partire dal maggio 1945 – tecnicamente a guerra conclusa. Una resistenza che nessuno nel resto d’Europa si sognerebbe di appellare come tale, proprio perché Resistenza e CLN sono nomi che si associano alla guerra antifascista, non di sicuro agli attriti postbellici tra forze formalmente alleate contro l’Asse. I comitati istriani invece nacquero quando non c’era più traccia di Wehrmacht in Istria, il CLN Istria vero e proprio nacque addirittura nel marzo del 1946, ce n’è ben donde per avanzare una denuncia postuma di impostura.

Nella narrazione di Spazzali il paragone non è dunque tra ISIS e nazisti ma tra Califfato e Jugoslavia socialista, visti invariabilmente come invasori, tralasciando di dire che i partigiani croati e sloveni fossero anch’essi autoctoni in Istria.

2) What’s goin’ on IRSML? Quali sono gli ultimi sviluppi della ricerca locale?

Molti dei ricercatori associati all’IRSML-FVG hanno recentemente contribuito alla pubblicazione collettanea uscita non molti mesi fa per i tipi de Il Mulino, dal titolo “La difesa dell’italianità. L’Ufficio per le zone di confine a Bolzano, Trento e Trieste (1945-1954)

Si tratta di un una raccolta di studi scaturiti dall’apertura agli storici degli archivi del summenzionato, famigerato, Ufficio Zone di Confine (UZC), il cui contenuto é stato oggetto negli anni di svariate congetture e teorie le quali tuttavia non potevano essere convalidate storiograficamente, mancando le pezze d’appoggio, fino ad oggi.

Il saggio è diviso in due parti, la prima – molto interessante – è dedicata all’Alto Adige e al Trentino, ma è la seconda parte dedicata alla Venezia Giulia che qui interessa. In essa si delinea, carte alla mano, le collusioni nell’immediato dopoguerra tra servizi segreti militari italiani e formazioni paramilitari in cui si mescolavano partigiani anticomunisti e bande di tagliagole precedentemente inquadrate nella RSI sotto comando nazista, sia aldiqua che aldilà del confine orientale. Netta l’analisi, per esempio, del contributo proprio di Anna Maria Vinci – “Per quale italianità? La nuova mitologia della patria nel secondo dopoguerra”. Vi si sottolinea la continuità strutturale tra questi gruppi e il passato regime fascista, con tanto di impiego di individui già in forze nelle brigate nere che tra il 1943 e il 1945 avevano condotto operazioni sul Carso sloveno (p. 349) o di personale dell’Ispettorato speciale di pubblica sicurezza di Trieste, luogo di tortura e morte per moltissimi antifascisti (p. 350). Netta è anche l’analisi di Vinci sulla continuità dei contenuti razzisti antislavi tra l’azione snazionalizzatrice del regime fascista e la campagna stampa propagandistica del dopoguerra a Trieste, finanziata dall’UZC, “che intesseva insieme radicalismo, sciovinismo e razzismo con il codice del lutto e il linguaggio delle vittime” (p. 348). Una ricetta tristemente conservata e ora rimessa in circolazione, trasmessa da questo angolo d’Italia all’intera nazione a reti unificate.

Per i dettagli bisogna andare al contributo di Anna Millo: “Il «filo nero»: violenza, lotta politica, apparati dello Stato al confine orientale (1945-1954)” dove è meticolosamente documentato, su “evidenze non equivocabili” emerse dall’archivio UZC, “il sostegno finanziario e armato concesso dal governo italiano a milizie paramilitari per la guerra non convenzionale, l’impiego di movimenti squadristici di estrema destra dediti alla violenza nelle piazze, l’appoggio ad un partito ai limiti della legalità costituzionale come il Movimento sociale italiano (…) registrati tanto nel Friuli orientale come a Trieste” (p. 415)

Bisogna mettere le parole di Spazzali in relazione con queste nuove evidenze per capirne la gravità, per capire che non si tratta di ciarle a vanvera di uno sprovveduto ma di una persona che sa esattamente di cosa parla poiché non può non conoscere questo saggio, anche perché contiene un suo contributo: “Tra le due sponde adriatiche: il nuovo ufficio Venezia Giulia nell’esodo da Pola”. Proprio analizzando la sua ricerca sorprende l’accostamento tra esodo istriano e i movimenti migratori di questi giorni dal medio oriente, peraltro sprezzante nei confronti questi ultimi. Aldilà della descrizione di un campo di raccolta di Venezia particolarmente disastrato (il convitto Marco Foscarini, assurto a simbolo della mala accoglienza italiana nei confronti degli esuli), Spazzali documenta infatti con dovizia di particolari l’organizzazione meticolosa da parte dell’Ufficio Venezia Giulia (poi diventato UZC nel ’47) dei trasporti via nave da Pola delle persone, delle masserizie e persino delle bare con le spoglie mortali di molti congiunti, tra i quali le spoglie dell’eroe della grande guerra Nazario Sauro e i resti del suo sommergibile, da cui emerge chiara l’inopportunità del confronto con la tragedia dei gommoni e dei viaggi a piedi per migliaia di chilometri dei migranti di oggi, figuriamoci poi il tono sprezzante. Ma di questo d’altronde Spazzali ha chiesto scusa, per fortuna. Non ha chiesto scusa invece circa le gravi implicazioni della frase Gli esuli istriani (etc) furono costretti ad andare via perché non erano stati messi nelle condizioni di difendere la loro terra …si legga in proposito, sempre da “La difesa dell’italianità”, il contributo di Irene Bolzon (membro del consiglio direttivo dell’IRSML-FVG): Da Roma alla Zona B. Il comitato di liberazione nazionale dell’Istria, l’Ufficio per le zone di confine e le comunità istriane tra informazioni, propaganda e assitenza.

zonaB

Vi si ricostruisce la genesi del CLN postumo “Istria”, che fu preceduto dal GEI (Gruppo esuli istriani) e dal gruppo di resistenza istriana “Domenico Lovisato”, gruppi di resistenza armata votati ad azioni di sabotaggio, boicottaggio commerciale e danneggiamento delle linee di comunicazione nell’Istria amministrata dagli jugoslavi, al cui scopo avevano fatto richiesta dall’Italia di materiale incendiario e dinamitardo (pp. 492-493). Ma il vero aspetto interessante analizzato da Bolzon è il momento in cui il CLN Istria entra nei canali di informazione e di finanziamento dell’UZC, quindi a partire dal ’47, diventando la mano occulta della Presidenza del Consiglio dei Ministri italiano (PCM).
Per conto della PCM il CLNI istituì una rete segreta di fiduciari e informatori in Istria, con schedatura degli stessi istriani della zona B secondo parametri di fedeltà agli ideali di italianità, dossier che poi accompagnavano gli stessi istriani qualora avessero espresso l’opzione per l’espatrio e che ne determinavano poi il trattamento assistenziale in Italia. “Uno strumento di controllo che si traduceva in autentico orientamento dei comportamenti e delle attività sociali dei singoli inquadrati nei gruppi istriani. In questo modo la comunità esule e quella italiana della zona B, selezionate politicamente secondo rigidi parametri anticomunisti e orientate alle direttive dell’ente che ne garantiva la copertura economica, divenivano un’autentica macchina propagandistica in funzione filoitaliana” (p. 500). Uno strumento che espose la comunità italiana in Istria a gravi conseguenze, tristemente note quelle in corrispondenza delle elezioni indette nella zona B per il 16 aprile 1950, quando il CLNI su mandato del ministero degli esteri italiani promosse tramite i suoi fiduciari una campagna astensionistica a cui seguirono arresti, minacce e intimidazioni da parte jugoslava. Lungi dal giustificare gli eccessi polizieschi delle autorità militari jugoslave emerge chiaramente la corresponsabilità italiana, attraverso il braccio dei “resistenti istriani”, nella formazione di quel clima di tensione che si respirò in zona B e che concorse all’esodo da quelle terre.
Le azioni dinamitarde furono senza seguito, perché sventate dalle autorità jugoslave e perché probabilmente le richieste di materiale incendiario e dinamitardo di questi gruppi rimasero inevase, altrimenti ben altri scenari di guerra civile si sarebbero visti in Istria. E’ a ciò che allude Spazzali quando dice che  gli istriani non furono messi nelle condizioni di difendersi? Da figlio di un esule proveniente dalla zona B, rabbrividisco.

Come è già stato scritto su Giap, Spazzali non può non conoscere un altro libro: “Vergarolla 18 agosto 1946. Gli enigmi di una strage tra conflitto mondiale e guerra fredda” di Gaetano Dato (membro del comitato scientifico dell’IRSML-FVG). Ne ha persino scritto la prefazione

Un libro che fece scalpore perché sbugiardava l’adagio secondo cui dietro la strage ci fosse la mano del governo jugoslavo con lo scopo di mandare via la popolazione di lingua italiana (o addirittura per completare il tentativo di genocidio che secondo alcuni sarebbe stato lo scopo delle foibe). Riemerge la pista monarchico-fascista nella responsabilità della strage, chiara a molti polesani nell’immediato, proprio perché la zona sotto comando alleato pullulava di ex repubblichini, come ad esempio Maria Pasquinelli, che sei mesi dopo – il 10 febbraio 1947, giorno della firma del trattato di pace –  avrebbe assassinato il generale De Winton, comandante della piazza di Pola. Il libro di Dato restituisce bene lo scenario di quei torbidi, traboccante di “spie, agitatori di tutte le risme, provocatori prezzolati, agenti segreti, dalla Jugoslavia all’Italia e viceversa.” Lo scrive Spazzali nell’introduzione, e continua: “C’era chi pensava, forte di un’esperienza maturata trent’anni prima, che la città di Pola o la stessa Venezia Giulia potessero diventare una novella Fiume di dannunziana memoria, in cui sperimentare un’eversiva rivoluzione patriottica”. Alla luce di quanto dichiarato a Bondeno sempra proprio che Spazzali rimpianga questo genere di lotta eversiva e di tali torbidi.

3) Qual è la storia dell’IRSML-FVG? Da dove sbuca questo Istituto?

La storia dei comitati italiani di liberazione nazionale al confine orientale, anche di quelli veri, è una storia a parte rispetto al resto del movimento, in cui spicca l’esclusione dal CLNAI e la rottura dell’unità antifascista per il rifiuto di fare fronte unico con i comunisti e con i partigiani jugoslavi. È una storia anche di antifascisti per un solo giorno, come il CLN di Trieste che dopo non aver spostato una foglia per contrastare la dura repressione nazifascista (che si serviva di un lager “tascabile” in loco, la Risiera, con tanto di forno crematorio) pensò bene di insorgere un giorno prima dell’arrivo dei partigiani jugoslavi, travasando nelle sue fila in fretta e furia interi reparti di personale al servizio dell’amministrazione nazista solo fino al giorno prima, con lo scopo non proprio di dare una mano agli jugoslavi, che ancora sostenevano scontri durissimi con i tedeschi in periferia, ma più che altro per anticiparli nella corsa per Trieste. È una storia anche di torbidi contatti con i fascisti, ancora in tempo di guerra, per ipotetici fronti comuni anti-slavo/comunisti, senza seguito ma mai del tutto chiariti.

È bene specificare che i fondatori dell’IRSML-FVG provenivano da quel CLN, ma all’epoca fu decisiva, per la credibilità del costituendo Istituto, la pronta denuncia, il disgusto e l’abiura da parte dei suoi esponenti – come Carlo Schiffrer e Galliano Fogar – nei confronti delle collaborazioni che spesso i loro stessi “ex compagni” strinsero apertamente con i neofascisti nell’immediato dopoguerra (di cui si parla nel summenzionato volume “La difesa dell’italianità”). Grazie a ciò l’Istituto guadagnò autorevolezza e credibilità politica che gli permisero di contrastare negli anni, con ricerche storiografiche puntuali e prese di posizione nette, le narrazioni revansciste e razziste da parte di associazioni di esuli politicizzate o lobby di destra come ANVGD e Lega Nazionale. In un momento storico in cui lo stato italiano decideva di mettere sotto silenzio il confine orientale l’IRSML-FVG diventava l’unico argine solido contro la violenta propaganda che imperversava nella regione senza tregua.

Spostando le lancette del tempo avanti di un paio di decenni, dopo tanta rivalità, ritroviamo alcuni importanti segmenti dell’IRSML quasi in luna di miele con ANVGD durante il giorno del ricordo, cos’è successo? Sarebbe una storia troppo lunga da raccontare in questa sede, qui mi preme chiarire il ruolo di Roberto Spazzali in questo processo. Costui si inserisce nel dibattito storiografico locale con una pletora di studi su Lega Nazionale, sul “Grido dell’Istria”, sugli anomali CLN locali, sulla divisione volontari Gorizia e, soprattutto, sulle foibe.

Difficile vagliare tutti gli studi condotti da Spazzali dalla fine degli anni ’80 ad oggi, alcuni dei quali indubbiamente pregevoli per le mole di dati raccolti. Uno è libero di scegliersi gli oggetti della propria ricerca, ma il sentore che ne ho sempre avuto io è che Spazzali se li sia scelti per dimostrare determinate tesi preconcette e soprattutto per dare consistenza e legittimità alla sua visione etno-nazionale (anche se non più prettamente nazionalista) della storia del confine orientale. Un sospetto che diventa una certezza in occasione della presentazione della relazione “Foibe. Una tragedia istriana” (1998). Come ha notato Sergio Fumich, Spazzali riciclava nella sua visione i proclami diffusi dagli opuscoli del CLN Istria nel’46, ovvero la tesi per cui le foibe sarebbero state un piano preordinato titoista di epurazione politica ma soprattuto di affermazione nazionale jugoslava. Recuperando il punto di vista di quel sedicente CLN Spazzali aveva trovato l’escamotage per reinserire il discorso nazionale anche negli studi resistenziali (Oggi si scopre che quei CLN non erano poi così puliti e legittimi nella pretesa di rappresentare l’antifascismo, ma in realtà a personalità dell’Istituto come Fogar era ben evidente anche senza le carte dell’UZC). La tesi spazzaliana del piano preordinato, allora presentata in un corso di aggiornamento per insegnati a Trieste, fu diffusa a livello nazionale dal libriccino “Foibe” del 2003, curato dal nostro a quattro mani con Raoul Pupo per la Bruno Mondadori, in un momento storico cruciale che porterà di lì ad un anno all’approvazione della legge sul giorno del Ricordo. 

Si tratta di un’opera di divulgazione molto assertiva, con una ripartizione netta ancorché discutibile fra “fatti” e “opinioni”. Un vero e proprio libro programmatico che ricorre alla tecnica del framing per presentare al lettore ignaro il giusto modo in cui si deve “adoperare” l’argomento Foibe: per esempio con l’istruzione di considerare simbolicamente infoibati tutti gli italiani scomparsi nella zona del confine orientale dopo il ’43.  La tesi del piano preordinato titino viene presentata come lo stato dell’arte della ricerca, attraverso un disinvolto taglia-e-cuci di ricerche storiografiche e testimonianze d’oltre confine, anziché presentarla come una tesi propalata nella s.m. degli anni ’40 da gruppi contraddistinti da un marcato nazionalismo e con torbidi contatti con gruppi eversivi.  L’aspetto più odioso del libro, vergato proprio da Spazzali, è l’invenzione della categoria dei negazionisti delle foibe, usata per etichettare i ricercatori che la vedono diversamente, su tutti Claudia Cernigoi, colpevole di aver voluto controllare il numero degli infoibati a Trieste, le loro biografie e l’autenticità di una foiba, quella di Basovizza, su cui persino gli angloamericani avevano espresso pareri negativi a proposito della presenza in essa di cadaveri di italiani scomparsi. Lo stigma di Spazzali accompagna Claudia Cernigoi ancora oggi, esponendola a minacce e intimidazioni, procurandole veti da parte delle amministrazioni comunali nel farsi concedere spazi per esprimere le proprie opinioni, alla stregua di un Mattogno o di un Nolte.

Conclusione: dove vuole andare l’IRSML-FVG?

Adesso che abbiamo capito quanto cattivoni fossero gli sbirri dell’OZNA e che gli scheletri nell’armadio dei partigiani jugoslavi sono stati ben spolverati (peraltro già con Elio Apih, tutto quello che ne è seguito è mero singalong), possiamo finalmente mostrare gli scheletri nell’armadio dei partigiani italiani, anche quelli non comunisti? Proseguendo sul positivo solco del lavoro sull’UZC?

L’incidente di Bondeno può essere un utile segnale, un sveia-baùchi si dice a Trieste: è forse giunto il momento di lasciare andare questa visione nazionale della guerra di liberazione che ha contraddistinto per lo meno gli ultimi 15 anni di storiografia locale. Proprio seguendo l’esempio dei padri fondatori come Fogar e Schiffrer è forse giunto il momento di ritrovare l’antifascismo che è il significato ultimo della Resistenza e che è la fonte della credibilità dell’Istituto. Però si deve lasciar andare Major Tom a seguire le sue sirene di difesa dell’italianità, vi liberereste anche dal fatale abbraccio di giri torbidi come ANVGD (che dire, per esempio, dell’endorsement alle dichiarazioni di Bondeno da parte del presidente Renzo Codarin, quando Spazzali aveva già chiesto scusa?) e da scivoloni con l’ANPI (tipo Spazzali che tesse le lodi del criminale di guerra Udovisi al convegno di Milano…) che non è che facciano proprio bene a un istituto di storia del movimento di liberazione. Pensateci: ne guadagneremmo davvero tutti. Perché stiamo dalla stessa parte, vero?